Anatomia in Ayurveda

INTRODUZIONE ALL’ANATOMIA SECONDO L’AYURVEDA

È d’obbligo sottolineare alcune importanti differenze tra medicina occidentale (allopatia) e Tradizione Ayurvedica prima di cominciare l’approfondimento di certi concetti base. È bene, innanzi tutto, chiarire l’origine spirituale della Tradizione Ayurvedica, che non può non influenzare la sua prospettiva medica e quindi la sua visione del paziente, la patogenesi, la diagnosi della malattia, la sua prognosi, l’anamnesi e le conseguenti terapie utilizzate.

Qualsiasi operatore Ayurvedico che segua scrupolosamente la Tradizione più rigorosa dell’Ayurveda, senza unirla ad altri approcci più o meno moderni, avrà una visione terapeutica che non potrà fare a meno di inserirsi in un più ampio contesto di sviluppo formativo la cui evoluzione spirituale dell’Anima del paziente ha un ruolo centrale. Il corpo non viene visto come entità autosufficiente e autolimitantesi in se stessa, ma come l’ultimo dei rivestimenti la cui unica funzione è quella di permettere al Principio Spirituale (Atman) insito in ogni essere umano, di fare esperienza sul Piano Fisico secondo leggi prestabilite e per  delle motivazioni precise.

La considerazione dell’individuo è del tutto speifica, nel senso che ogni paziente è il risultato di una costituzione bio-energetica (Prakriti Prakruti) risultante dai rapporti tra i 3 Dosha (Tridosha), i 5 Elementi (Pancamahabhutani) e i 3 Guna (Triguna), del tutto unica e irripetibile. Il Vaidya, che è il nome tradizionale dato al vero operatore ayurvedico, deve per decifrare i sintomi dell’individuo, tener conto di questo assetto prakritico e per farlo deve necessariamente avere conoscenza dei sistemi Samkhya Darshana e Vaisheshika Darshana, che non si limitano ad un approccio prettamente fisiologico o anatomico del solo corpo fisico denso.

Il concetto di squilibrio che può o meno tadursi in una patologia, secondo l’Ayurveda, integra in sé scompens che riguardano il corpo fisico (Annamayakosha – Corpo fisico denso –), sia scompensi che riguardano il corpo eterico (Pranomayakosha – Corpo eterico –) sia aspetti che riguardano scompensi del corpo emotivo -mentale (Manomayakosha – Corpo mentale –) e non meno importante è il trattamento dei due corpi superiori (Vijñanamayakosha – Corpo intuitivo – Anandamayakosha – Corpo della Beatitudine – ). Per il Vaidya è d’obbligo ricordare che tutte e 5 questi corpi procedono e traggono la loro origine dalla Fonte Causale che è l’Atman, Anima Suprema e Immortale secondo i Veda. Secondo l’Ayurveda non è possibile considerare gli squilibri di un corpo senza considerare gli squilibri degli altri, qualsiasi processo di guarigione necessita della considerazione di tutti i corpi essendo l’essere umano l’insieme strutturato di questi 5 corpi più la sua Anima.

Ne consegue che la terapia Ayurvedica si basa su più livelli, perché il concetto di squilibrio stesso si basa su più livelli, non viene visto semplicemente come uno scompenso dovuto da diversi fattori ma pur sempre fisici, cioè del corpo fisico denso, ma la patologia viene piuttosto interpretata come; primariamente esperienza karmica, secondariamente il risultato di più squilibri nei vari corpi sottili tale per cui una ricerca delle cause univoca e mirata esclusivamente al corpo fisico non è ayurvedicamente chiarificatrice circa le reali cause fondamentali scatenanti della patologia. Inoltre lo squilibrio, può essere represso, deviato in altra direzione, ma mai completamente risolto se il nostro karma non ce lo permette.

Un’altra sostanziale differenza tra i due approcci consiste nel tipo di sostanza fisica immessa nell’organismo per risanare lo squilibrio. Molti dei farmaci utilizzati dalla medicina occidentale sono per lo più sintetizzati in laboratorio pur prendendo buona parte dei loro principi attivi dalle piante. L’Ayurveda propende più per l’utilizzo di integratori alimentari naturali. La prima terapia ayurvedica è l’alimentazione, il primo farmaco ayurvedico è il cibo. Le terapie ayurvediche non possono non essere calibrate secondo la costituzione doshica dell’individuo, sono quindi mirate per ogni singolo paziente e possono essere diverse anche qualora gli stessi pazienti fossero sottoposti al solito processo patogeno.

Queste sono le sostanziali differenze tra i due approcci. Non c’è nessuna volontà di criticare o esaltare un approccio rispetto ad un altro, ma descrivere e spiegare cio che l’Ayurveda tradizionale e non annacquato da qualche teoria moderna, insegna a proposito della malattia. In ogni caso, e mi riferisco alle leggi vigenti nel nostro paese, è bene sottolineare che un Operatore ayurvedico non può e non deve sostituire il medico curante, al quale l’individuo che ritiene di soffrire di qualche disturbo deve sempre fare riferimento.

Ci sono attualmente numerosi connubi tra i due approcci, Ayurvedico e occidentale, alcuni protendono più verso una visione occidentale della patologia, del paziente e delle cure, altri verso una visione più Ayurvedica, ma in entrambi i casi molte delle concezioni squisitamente Ayurvediche (come l’utilizzo di Mantra nella terapia) pur essendo raccomandate dai fondatori dell’Ayurveda stesso (Caraka, Sushruta, Vagbhata, Nagarjuna, ecc…) vanno perdute. Quello che l’Ayurveda può offrire all’individuo interessato sono dei Mezzi antichi di migliaia di anni, per lavorare con se  stessi, secondo una visione olistica dell’esistenza, ma sempre nel rispetto e nella tolleranza di approcci e idee differenti.